Per legge le misure di protezione collettiva devono essere adottate in via prioritaria rispetto a quelle di protezione individuale.
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Caso di studio
La vicenda presa in esame dalla Corte di Cassazione riguarda la sicurezza delle lavorazioni in quota effettuate dal lavoratore temporaneamente distaccato presso altra impresa.
Nello specifico, gli addebiti mossi al responsabile della società titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore infortunato, al responsabile dell’impresa subappaltatrice e al coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori era il non aver adottato misure di protezione collettiva per i lavoratori.
Cosa dice la Cassazione
La IVa sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 48046/2023, rammenta che la legge individua due forme di gestione del rischio: collettivo ed individuale.
In primo luogo, la priorità per il datore di lavoro è l’adozione di misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali, in quanto, questi sistemi di protezione in prima battuta operano indipendentemente dalla scelta del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale e, a maggior ragione, nel caso in cui il lavoratore ometta di adottarli. In secondo luogo, consentono al datore di lavoro di scegliere quale sistema di protezione adottare in previsione di lavori di breve durata, così confermando la preferenza per le misure di protezione collettiva.
Da ciò deriva che per lo svolgimento di lavori in quota i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori.
Conclusioni
In conclusione, in tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavorazioni in quota, il datore di lavoro è tenuto ad adottare prioritariamente misure di protezione collettiva, le più idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori anche e, soprattutto, nel caso in cui questi non utilizzino i dispositivi di protezione individuali.
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