Quando un’estorsione può ritenersi consumata con metodo mafioso? Analisi di un caso di studio.
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IL caso di studio
Un soggetto pregiudicato veniva arrestato per una serie di reati in materia di stupefacenti, oltre che per una duplice estorsione aggravate dall’uso del metodo mafioso.
L’accusa riteneva che l’indagato facesse parte di un sodalizio dedito alla consumazione dei reati in materia di stupefacenti (art. 74, D.P.R: n. 309/1990), avesse consumato numerose attività di spaccio (art. 73 D.P.R. n. 309/1990), nonché attraverso ripetute minacce telefoniche, avesse commesso una duplice estorsione (art. 629 c.p.) aggravata dal metodo mafioso (art. 629, co. 2 c.p. in relazione all’art. 628, co, 2 e 3 c.p.), costringendo due distinte parti offese a pagare una parte del corrispettivo pattuito, incutendo loro il timore derivante dalla sua appartenenza all’omonima famiglia mafiosa.
La condotta di estorsione era ritenuta aggravata perché l’indagato anni addietro, nel 2014, era stato condannato per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.) in via definitiva con sentenza della Corte di Assise di Appello, nonché di aver agito con metodo mafioso attraverso modalità intimidatorie, utili a generare nella vittima particolare timore per la propria incolumità, in ragione della sua riconosciuta appartenenza mafiosa.
L’Avv. Michele Mastromartino, dello Studio Legale MZ Associati, incaricato della Difesa, unitamente al Collega Avv. Mariano Scapicchio, proponevano istanza al Tribunale del Riesame di Potenza, il quale annullava completamente l’ordinanza riguardo alla partecipazione all’associazione dedita alla consumazione di reati in materia di stupefacenti, ma confermava la custodia cautelare per la duplice estorsione consumata con metodo mafioso, lasciando l’indagato in custodia cautelare in carcere.
Le Difese proponevano ricorso in cassazione, limitatamente alla sussistenza delle contestate aggravanti dell’uso del metodo mafioso in relazione alla condotta di estorsione.
La soluzione della Cassazione
Con la sentenza n. 17159 del 22 marzo 2023, la IIa Sezione penale della Corte di Cassazione, rilevando delle contraddittorietà della motivazione, annullava con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Potenza, precisando: che l’aggravante di aver commesso l’estorsione durante la partecipazione ad un sodalizio mafioso ( art. 628, co. 3, n. 3, c.p., richiamata dall’art. 629, co. 2 c.p.), per essere contestata deve imporre un acertamento rigoroso in ordine alla attualità di detta appartenenza, non potendosi ritenere automatica per il fatto di una precedente condanna per il reato di associazione mafiosa ( art. 416 bis c.p.), attualità della partecipazione ritenuta implicita dalla norma visto l’uso del tempo indicativo (“fa parte” e non “ha fatto parte”), dovendosi escludere che si possa ritenere sempre attuale la mafiosità di un soggetto anche dopo che egli abbia riportato condanna, per altro espiata, per il reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p.;
anche la censura sull’uso del metodo mafioso è stata ritenuta fondata, per la contraddittorietà della motivazione la quale in un primo tempo l’aveva esclusa, salvo, poi, “riesumarla” allorquando, trattando delle esigenze cautelari, ha evocato la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, che non è applicabile se non a reati rispetto ai quali tale aggravante si configuri, ma non per i reati di rapina ed estorsione aggravati dalla solo circostanza aggravante della commissione del reato durante la partecipazione ad associazione mafiosa, non rientranti tra quelli indicati dalle norme sulla legislazione antimafia per la quale vale la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
L’esito del procedimento in sede di rinvio
Dopo l’annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, il Tribunale del Riesame di Potenza decideva la questione, non solo escludendo che le due estorsioni fossero aggravate dal metodo mafioso, ma addiritura scarcerando completamente l’imputato per la scadenza dei termini di fase di custodia cautelare.
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