Nell’ambito della cooperazione medica multidisciplinare, in presenza di un esame prescritto dal medico di base, è compito del medico specialista procedere all’inquadramento anamnestico e clinico e valutare l’idoneità della prescrizione indicata dal collega oppure valutare diverse e meno invasive opzioni diagnostiche.
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Caso di studio
La vicenda coinvolgeva un medico endoscopista che cagionava la morte della paziente in età avanzata per insufficienza multiorgano a seguito di un esame di colonscopia con finalità diagnostica prescritto dal medico di medicina generale della paziente.
In particolare, il medico endoscopista, prima di svolgere l’esame ometteva di effettuare un preliminare approfondimento diagnostico delle condizioni della paziente mediante tecniche meno invasive, più proporzionate al quadro clinico e prive di rischi.
Inoltre, l’endoscopista evitava di eseguire un’adeguata preparazione intestinale al fine di non inficiare l’esame diagnostico ed evitava di adottare le maggiori cautele nelle manovre con l’endoscopio flessibile determinando la lacerazione della parete colica dalla quale derivava uno shock settico conseguente a perforazione sigmoidea iatrogena alla quale seguiva una peritonite stercoracea diffusa.
Cosa dice la Cassazione
La IVa sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30051/2022, ha dovuto risolvere un caso di rapporto tra medici specialisti che effettuano esami diagnostici invasivi con un ineliminabile quoziente di pericolo per il soggetto che vi si sottopone.
Il ricorrente sosteneva che non poteva svolgere nulla di diverso dalla colonscopia in quanto si trattava di una procedura diagnostica indicata dal medico di base curante della paziente al quale spettava, in virtù della conoscenza di quest’ultimo del quadro completo delle condizioni di salute dell’assistita, la valutazione circa l’idoneità della colonscopia.
La Cassazione, al contrario, ha avuto modo di precisare che lo specialista non può essere svilito a “mero esecutore” di indagini richieste da altri, dovendosi sempre riservare una capacità di autonoma valutazione sull’adeguatezza dell’esame da eseguirsi.
Nell’ambito dell’attività medica e della responsabilità professionale la Cassazione, come già rilevato, ha confermato che qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione medica multidisciplinare, anche se non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto a conoscere l’attività precedente o contestuale svolta dall’altro collega – seppur specialista in altra disciplina – controllarne la correttezza, ed eventualmente porre rimedio all’errore altrui che sia evidente e non settoriale rilevabile con le conoscenze scientifiche del professionista medio.
Pertanto, nel rapporto tra un medico di medicina generale ed uno specialista come nel caso all’esame della Cassazione, era compito dell’endoscopista valutare l’idoneità della colonscopia riguardo alle condizioni della paziente.
Conclusioni
In conclusione, in caso di cooperazione medica multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, allorquando venga prescritto un esame diagnostico invasivo come una colonscopia, il medico specialista chiamato ad effettuare l’esame non può esimersi dal valutare, oltre che la presenza di fattori che possano condizionare negativamente l’esame stesso (assunzione di farmaci, parametri vitali, esito esami ematochimici), anche la bontà della scelta diagnostica operata dal medico richiedente in relazione alla sintomatologia lamentata dal paziente ed all’esistenza o meno di precedenti indagini diagnostiche che avvalorino il sospetto della malattia ipotizzata, soprattutto allorquando l’esame in questione sia stato prescritto da un medico non specialista, come medico di base che seguiva la paziente.
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