Quali riflessioni inducono la lettura dei dati statistici nell’ambito di reati da violenza sulle donne e di violenza domestica, tali da imporre tutela rafforzata e anticipata per convenzione indicata come “Codice Rosso”.
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I recenti casi di cronaca, da ultimo l’omicidio di Giulia Cecchettin, hanno indotto il Governo ad adottare una stretta in tema di reati da “Codice Rosso”, cercando di dare una risposta alla eclatanza mediatica dei reati di genere, in particolare relativi alla violenza sulle donne e alla violenza domestica.
Infatti, con la convergenza di tutte le Forze Politiche presenti in Parlamento, è stato licenziato in via definitiva dal Senato il Disegno di Legge n. 923 che prevede, in particolare, un inasprimento delle pene, del trattamento penitenziario e l’inquadramento della rilevanza delle condotte anche ai fini dell’adozione delle misure di prevenzione inserite nel Codice Antimafia, con una indicazione di priorità nella trattazione processuale di tali reati.
Ma la realtà coincide con la percezione della stessa?
Un recente studio de lavoce.info sui dati forniti dal Ministero dell’Interno, mostra attraverso i grafici l’incidenza del fenomeno.
Colpisce un primo dato generale: il numero degli omicidi intenzionali maschili è in calo, dal 3,92 ogni 100 mila abitanti nel 1992 a 0,42 ogni centomila abitanti nel 2020; il tasso di incidenza dei femminicidi da 0,64 ogni 100 mila abitanti del 1992 sono scesi a 0,29 ogni 100 mila abitanti nel 2020.
Questi dati registrano una generale tendenza in diminuzione dei reati di natura omicidiaria, anche relativi alla violenza di genere, sebbene in maniera meno marcata rispetto agli omicidi maschili, condizionati soprattutto da vicende di criminalità organizzata.
Quanto ai femminicidi, sempre secondo lo studio di lavoce.info, colpisce l’incidenza che essi hanno sul reato di omicidio in generale, in quanto nel 2022, con 128 donne uccise, il dato è pari al 39,4 per cento degli omicidi commessi, con prevalenza marcata nelle regioni del Nord rispetto al Sud Italia.
Merita di essere evidenziata la funzione del numero antiviolenza 1522 le cui chiamate dal primo gennaio al 30 settembre 2023 è rimasto stabile. In totale sono state registrate 30.581 chiamate, più numerose rispetto allo stesso periodo del 2022 (22.553) e del 2021 (24.699). Il valore totale delle richieste, tuttavia, racchiude sia quelle di aiuto e sostegno sia quelle di informazione, che rappresentano il 31,9 per cento.
I centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio in cui le donne, ed eventualmente i loro figli, possono trovare accoglienza e supporto a seguito di violenze domestiche non è distribuita in maniera omogenea sul territorio nazionale, in quanto i 373 CAV totali sono principalmente distribuiti nel sud Italia (115) anche se la Lombardia è la regione con il numero più alto di case rifugio pari all’88 per cento di tutte le case rifugio situate nel nord ovest.
Questi dati includono tre riflessioni:
1) l’intervento del Legislatore è sistematicamente condizionato dalla semplice rilevanza mediatica del fenomeno, svincolato da qualsivoglia inquadramento sistematico nella trattazione di una materia complessa come questa; l’incidenza dei femminicidi e in generale della violenza sulle donne e della violenza domestica, sebbene rilevante rispetto al dato complessivo dei reati di omicidio, registra comunque una flessione che in quanto tale non implica alcuna emergenza;
2) l’emergenza sul tema, pertanto, è di natura culturale, conseguente alla mancanza di adeguata informazione e formazione, soprattutto dei giovani in ambito scolastico, testimoniata soprattutto dall’aumento del numero di chiamate al 1522, probabilmente è dovuto a una maggiore sensibilizzazione sul tema;
3) colpisce la distribuzione disomogenea di quelle strutture antiviolenza che potrebbero rappresentare una alternativa contro la violenza di genere, più presenti al sud dove l’incidenza di femminicidi è minore rispetto al nord.
Nella giornata della violenza contro le donne non è inopportuno invocare una formazione maggiormente qualificata tra gli operatori, onde evitare che il tritacarne mediatico qualifichi come “Codice Rosso” anche condotte che non presentano tale gravità, una migliore informazione, soprattutto tra i ragazzi nelle scuole, insegnando loro a saper cogliere gli indicatori di allarme e anticipare le condotte pericolose, anche attraverso una adeguata educazione sessuale così come invocata dagli studenti, e una maggiore dotazione infrastrutturale per dare aiuto immediato alle tante donne concretamente esposte a rischi di violenza di genere.
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