In ambito di attività sanitaria in équipe ogni medico è responsabile anche per l’attività degli altri, salvo che il ruolo di ciascuno sia radicalmente distinto, dovendo trovare applicazione il diverso “principio dell’affidamento” sull’operato altrui.
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Caso di studio
Un paziente che ricorreva alle cure del pronto soccorso per forti dolori al petto, si autodimetteva sulla scorta del parere dei medici che escludevano qualunque tipo di complicazione cardiaca. A seguito del decesso per la diagnosi errata, i sanitari impostavano la propria difesa sostenendo che l’esito infausto non era imputabile alla propria specifica attività di intervento.
Cosa dice la Cassazione
La IVa sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2850/2023 ha avuto modo di precisare che in tema di attività sanitaria in équipe (che si verifica sia quando più medici svolgono contemporaneamente attività congiunta e coordinata e sia quando, in un contesto spazio temporale diverso, operano disgiuntamente, realizzando un fenomeno di successione nella posizione di garanzia) ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui.
Come si è già avuto modo di spiegare in altro intervento sulla diversa questione della rilevanza del dissenso tra medici durante l’attività sanitaria di équipe, il “principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui” non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso “principio dell’affidamento”, per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica.
Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare che nei casi in cui il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che ha avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta.
In questi casi se l’ambito di intervento del singolo garante è ben determinato è possibile invocare il “principio di affidamento” che impedisce di estendere ad altri il rimprovero per non aver previsto o posto rimedio all’errore altrui causalmente collegato all’esito infausto, non potendo trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di invasione degli spazi altrui.
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