Anestesista: impiego di medico non specializzato e posizione di garanzia del primario

Anche in assenza di specializzazione, il semplice laureato in medicina e chirurgia, abilitato all’esercizio della professione medica, è titolare di una posizione di garanzia ed è obbligato a rispettare le leges artis in materia oltre che essere responsabile per eventuali danni cagionati al paziente.

Di conseguenza, il primario che, consapevole della mancanza di sufficiente esperienza dello specializzando, lo impiega in un intervento chirurgico, risponde a titolo di colpa grave.

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Caso di studio

Al medico assunto in ospedale a tempo determinato per lo svolgimento dell’attività di anestesista si rimproverava di aver cagionato, in cooperazione con il primario, la morte della paziente sottoposta ad intervento di revisione di cavità uterina in anestesia generale.

Si addebitava al medico non ancora specializzato di aver effettuato un monitoraggio incompleto durante l’anestesia senza l’applicazione dello sfigmomanometro e non averne monitorato l’attività cardiaca. Nonché, non aver controllato l’apparecchiatura prima di indurre l’anestesia, non aver verificato che la connessione dell’ossigeno fosse stata eseguita correttamente e avere omesso di effettuare una costante e scrupolosa continua osservazione del paziente.

Il primario anestesista veniva coinvolto per non aver impedito che un medico privo della sufficiente esperienza fosse utilizzato in un contesto operatorio, per altro maneggiando macchinari obsoleti e in via di dismissione.

Cosa dice la Cassazione

La IVa sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 10152/2021 ha confermato il giudizio di responsabilità penale per omicidio colposo per il medico non ancora specializzato.

Riguardo alla condotta colposa del medico, la cassazione, ha stabilito che era qualificabile come tale la decisione dello specializzando di voler operare come anestesista strutturato con la strumentazione Toy associata ad un saturimetro che non garantiva la soglia di sicurezza richiesta per l’attrezzatura presente in sala operatoria.

La Suprema Corte ha sancito che il ricorrente, pur essendo un semplice laureato in medicina e chirurgia abilitato all’esercizio della professione medica, era titolare di una posizione di garanzia ed era tenuto all’obbligo di osservanza delle leges artis in materia – in particolare le Raccomandazioni per il monitoraggio di minima del paziente durante anestesia – riguardanti la responsabilità dell’anestesista in ordine al controllo preoperatorio dell’apparecchio di anestesia e delle sue componenti al fine di evitare possibili incidenti tecnici.

Nel caso in esame, la mancanza della necessaria competenza del medico anestesista, insieme alla consapevolezza dei propri limiti oggettivi di esperienza e perizia, avrebbero dovuto indurlo ad evitare di offrirsi come anestesista in un intervento chirurgico niente affatto urgente. E comunque, durante ogni fase dell’anestesia, avrebbe dovuto mantenere una continua e scrupolosa osservanza clinica della paziente, una continua osservazione della connessione della paziente al circuito dell’anestesia, dell’erogazione dell’ossigeno al retrometro e delle funzioni vitali della persona sottoposta ad intervento chirurgico.

Quanto al primario, si escludeva che la condotta del medico specializzando potesse essere qualificata quale causa sopravvenuta tale da interrompere il nesso di causalità, in quanto la posizione di garanzia imponeva l’adozione di tutti gli accorgimenti di natura organizzatoria che consentissero alla struttura e al personale di operare al meglio.

Conclusioni

In conclusione, è possibile affermare che l’anestesista specializzando, per il solo fatto di essere un laureato in medicina e chirurgia abilitato all’esercizio della professione medica, assume la titolarità di una posizione di garanzia, che gli impone di osservare le leges artis in materia, la cui mancanza è causa di responsabilità.

Il primario che impiega in interventi operatorio un anestesista privo della sufficiente esperienza, in presenza di detta grave carenza organizzativa, non può mai invocare una causa interruttiva del nesso di causalità.

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